mercoledì 27 gennaio 2016
Cosa succede realmente al petrolio ?
Se c’è un prezzo unico di una merce che determina crescita o rallentamento della nostra economia, è il prezzo del petrolio greggio. Troppe cose non si calcolano oggi riguardo il drammatico calo del prezzo mondiale del petrolio. Nel giugno 2014 il petrolio veniva scambiato a 103 dollari al barile. Avendo esperienza della geopolitica dei mercati del petrolio, sentivo una grande puzza. Vorrei condividere alcune cose che a me non dicono altro. Il 15 gennaio il punto di riferimento del prezzo commerciale del petrolio degli Stati Uniti, WTI (West Texas Intermediate),chiuse a 29 dollari, il più basso dal 2004. È vero, c’è eccesso di almeno qualche milione di barili di sovrapproduzione al giorno nel mondo, ed è così da più di un anno. È vero, la revoca delle sanzioni all'Iran porterà altro petrolio in un mercato saturo, aggiungendosi alla pressione al ribasso sui prezzi del mercato attuale. Tuttavia, alcuni giorni prima che le sanzioni USA e UE contro l’Iran venissero revocate, il 17 gennaio, Seyed Mohsen Ghamsari, capo degli affari internazionali della National Iranian Oil Company dichiarava che l’Iran “...tenterà di entrare nel mercato in modo da assicurarsi che l’aumento della produzione non causi un calo ulteriore dei prezzi… produrremo tanto quanto il mercato può assorbire“. Non è vero neanche che la domanda di petrolio dalla Cina sia crollata con il presunto crollo dell’economia cinese. Nel novembre 2015, la Cina ha importato di più, molto di più, l’8,9% in più, anno dopo anno, arrivando a 6,6 milioni di barili al giorno e divenendo il maggiore importatore di petrolio del mondo. Si aggiunga al calderone bollente del mercato mondiale del petrolio di oggi il rischio politico aumentato drammaticamente dal settembre 2015 con la decisione russa di rispondere alla richiesta del legittimo presidente siriano Bashar Assad con i formidabili attacchi aerei alle infrastrutture terroristiche. Si aggiunga anche la drammatica rottura delle relazioni tra la Turchia di Recep Tayyip Erdogan e Mosca poiché la Turchia, membro della NATO, interveniva sfacciatamente nella guerra abbattendo un jet da combattimento russo nello spazio aereo siriano. Tutto ciò avrebbe suggerito che i prezzi del petrolio salissero, e non si abbassassero.
Le strategiche province orientali saudite
Poi, per buona misura, si metta la decisione follemente provocatoria del ministro della Difesa e re saudita di fatto, principe Muhamad Bin Salman, di giustiziare Nimr Baqer al-Nimr, cittadino saudita. Al-Nimr, leader religioso sciita rispettato e accusato di terrorismo nel 2011 per aver chiesto più diritti per gli sciiti sauditi. Vi sono circa 8 milioni di sauditi leali allo sciismo più che all’ultra-rigido wahabismo. Il suo crimine fu protestare per maggiori diritti per la minoranza sciita oppressa, forse il 25% della popolazione saudita. La popolazione sciita è prevalentemente concentrata nella provincia orientale del regno saudita. La provincia orientale del Regno dell’Arabia Saudita è forse la parte più preziosa sul pianeta, col doppio della superficie della Repubblica federale di Germania ma con soli 4 milioni di abitanti. La Saudi Aramco, la compagnia petrolifera statale, ha sede a Dhahran nella provincia orientale. I principali giacimenti di petrolio e gas sauditi sono per lo più nella provincia orientale, onshore e offshore, tra cui il più grande giacimento di petrolio del mondo, Ghawar. Il petrolio dai campi sauditi, tra cui Ghawar, viene spedito a decine di Paesi dal terminal petrolifero del porto di Ras Tanura, il più grande terminal per il greggio del mondo. Circa l’80% dei 10 milioni di barili di petrolio ogni giorno estratti dai sauditi va a Ras Tanura, sul Golfo Persico, dove viene caricato sulle superpetroliere in rotta per l’occidente. Anche la provincia orientale ospita dell’impianto di Abuqaiq della Saudi Aramco, la più grande raffineria di petrolio e stabilizzazione del greggio da 7 milioni di barili al giorno. E’ il luogo della lavorazione primaria del greggio Arabian extra light ed Arabian light, e tratta il greggio estratto da Ghawar. Ma anche la maggior parte degli operai dei giacimenti di petrolio e delle raffinerie nella provincia orientale sono… sciiti. Si dice anche che siano in sintonia con il religioso sciita appena giustiziato, shayq Nimr al-Nimr. Alla fine degli anni ’80 il saudita Hezbollah al-Hijaz, che attaccò diverse infrastrutture petrolifere ed uccise anche diplomatici sauditi, sarebbe stato addestrato dall’Iran. E adesso c’è un nuovo elemento destabilizzante che si cumula alle tensioni politiche tra Arabia Saudita e Turchia di Erdogan da un lato, fiancheggiate dai servili Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo arabo, e dall’altro Assad in Siria, l’Iraq con il 60% della popolazione sciita e il vicino Iran, attualmente supportati militarmente dalla Russia. Vi sono anche notizie confuse sul 30enne principe Bin Salman in procinto di divenire re. Il 13 gennaio, l’Istituto del Golfo, un think mediorientale, in un rapporto esclusivo ha scritto che l’80enne re saudita Salman al-Saud abbia intenzione di abdicare per mettere sul trono il figlio Muhamad. Riferisce che l’attuale re “ha visitato i fratelli cercando sostegno per la mossa, e anche per rimuovere l’attuale principe e favorito dagli statunitensi, il duro Muhamad bin Nayaf, dalla carica di principe ereditario e ministro degli Interni. Secondo fonti vicine alla casa, Salman ha detto ai fratelli che la stabilità della monarchia saudita richiede il cambio dalla successione per linee laterali o diagonali a una verticale, dove il re ha il potere di nominare il più eleggibile figlio“. Il 3 dicembre 2015, il servizio d’intelligence tedesco BND fece trapelare un memo alla stampa che avvertiva del crescente potere acquisito dal principe Salman, definito imprevedibile ed emotivo. Citando il coinvolgimento del regno in Siria, Libano, Bahrayn, Iraq e Yemen, il BND dichiarava, riferendosi al principe Salman, “la precedente cauta posizione diplomatica dei capi più anziani della famiglia reale è stata sostituita dalla nuova politica impulsiva d’intervento“.
Eppure, i prezzi del petrolio scendono?
L’elemento più inquietante in tale situazione inquietante incentrata sulle riserve mondiali di petrolio e gas naturale del Medio Oriente, è il fatto che nelle ultime settimane il prezzo del petrolio, temporaneamente stabilizzatosi sui già bassi 40 dollari a dicembre, ora crolla di un altro 25% a poco più di 29 dollari, una cupa prospettiva. Citigroup ritiene possibile il petrolio a 20 dollari. Goldman Sachs ha recentemente detto che si può considerare il minimo di 20 dollari al barile per stabilizzare i mercati petroliferi mondiali e sbarazzarsi della sovrapproduzione. Ora ho la forte sensazione che ci sarà qualcosa di grosso e assai drammatico in riserva per i mercati mondiali del petrolio, nei prossimi mesi, qualcosa che la maggior parte del mondo non si aspetta. L’ultima volta che Goldman Sachs e compari di Wall Street fecero una previsione drammatica sui prezzi del petrolio fu nell’estate 2008. All’epoca, tra crescenti pressioni sulle banche di Wall Street per l’amplificarsi del crollo immobiliare dei subprime statunitensi, poco prima del crollo di Lehman Brothers nel settembre dello stesso anno, Goldman Sachs scrisse che il petrolio volava verso i 200 dollari al barile. Raggiunse il picco massimo di 147 dollari. In quel periodo scrissi un’analisi dicendo che era probabile esattamente il contrario, essendoci l’enorme eccesso di offerta sui mercati petroliferi mondiali che, curiosamente, fu identificato solo da Lehman Brothers. Mi fu detto da una fonte cinese che le banche di Wall Street, come JP Morgan Chase, esaltavano il prezzo a 200 dollari per convincere Air China e altri grandi acquirenti cinesi di petrolio a comprarne ogni goccia a 147 dollari, prima che arrivasse ai 200 dollari, un consiglio che alimentò l’aumento dei prezzi. Poi nel dicembre 2008, il punto di riferimento del prezzo del petrolio, il Brent, scese a 47 dollari al barile. La crisi della Lehman, una deliberata decisione politica del segretario al Tesoro degli USA ed ex-presidente di Goldman Sachs Henry Poulsen, nel settembre 2008, nel frattempo sprofondò il Mondo nella crisi finanziaria e in una profonda recessione. I compari di Paulsen alla Goldman Sachs e nelle altre mega-banche chiave di Wall Street come Citigroupo JP Morgan Chase, sapevano in anticipo che Paulsen pianificava la crisi della Lehman per costringere il Congresso a dargli i poteri per salvarli con gli inauditi 700 miliardi di dollari dei fondi TARP? Nel caso sia così, Goldman Sachs e amici fecero una puntata gigantesca contro le proprie previsioni sui 200 dollari, sfruttando la leva sui derivati future dal petrolio.
Uccidere prima il ‘cowboy’ del petrolio di scisto
Oggi l’industria del petrolio di scisto degli Stati Uniti, la più grande fonte della crescente produzione di petrolio degli Stati Uniti dal 2009, si aggrappa al bordo della scogliera dei fallimenti di serie. Negli ultimi mesi la produzione di petrolio di scisto ha appena iniziato a diminuire, di 93000 barili nel novembre 2015. Il cartello di Big Oil, ExxonMobil, Chevron, BP e Shell, due anni fa iniziò il dumping sul mercato delle azioni sullo scisto. L’industria petrolifera dello scisto negli Stati Uniti oggi è dominato da ciò che BP o Exxon chiamano “i cowboy,” le aggressive compagnie petrolifere di medie dimensioni, non dalle major. Le banche di Wall Street come JP Morgan Chase o Citigroup che storicamente finanziano Big Oil, così come lo stesso Big Oil, chiaramente non verseranno lacrime, a questo punto, sullo sboom dello scisto che li lascia ancora controllare il mercato più importante del mondo. Le istituzioni finanziarie che hanno prestato centinaia di miliardi di dollari ai “cowboy” dello scisto negli ultimi cinque anni, hanno la prossima revisione del prestito semestrale ad aprile. Con i prezzi in bilico sui 20 dollari, possiamo aspettarci una nuova, ben più grave ondata di fallimenti delle compagnie petrolifere dello scisto. Il petrolio non convenzionale, tra cui il petrolio delle sabbie bituminose dell’Alberta, in Canada, sarà presto un ricordo del passato, in caso affermativo. Ciò da solo non ripristinerà il petrolio a 70-90 dollari che i grandi operatori del petrolio e le loro banche di Wall Street troverebbero confortevole. L’eccesso mediorientale, dall’Arabia Saudita ed alleati del Golfo, si ridurrebbe drasticamente. Eppure i sauditi non mostrano alcun segno di volerlo fare. Questo è ciò che disturba il quadro. Qualcosa di molto grave avviene nel Golfo Persico e che drammaticamente innalzerà i prezzi del petrolio entro la fine dell’anno? Una vera e propria guerra diretta tra Stati petroliferi sciiti e sauditi viene preparata dai wahhabiti? Finora è stata una guerra per procura in Siria, soprattutto. Dall’esecuzione del religioso sciita e l’assalto iraniano all’ambasciata saudita a Teheran, arrivando alla rottura nei rapporti diplomatici coi sauditi e gli altri Stati sunniti del Golfo, il confronto è diventato assai più diretto. Il Dr. Husayn Asqari, ex-consulente del ministero delle Finanze saudita, ha dichiarato: “Se c’è una guerra tra Iran e Arabia Saudita, il petrolio potrebbe superare in una notte i 250 dollari, per poi declinare di nuovo fino a 100 dollari. Se attaccano i rispettivi impianti di carico, allora potremmo vedere il picco di petrolio a più di 500 dollari e rimanervi per qualche tempo a seconda dell’entità dei danni“. Tutto ciò dice che il mondo subirà un altro grande shock petrolifero. Sembra sia quasi sempre causa del petrolio. Come Henry Kissinger avrebbe detto durante l’altro shock petrolifero della metà degli anni ’70, quando Europa e Stati Uniti subirono l’embargo sul petrolio dall’OPEC e lunghe code alle pompe di benzina, “Se si controlla il petrolio, è possibile controllare intere nazioni“. Tale ossessione per il controllo sta rapidamente distruggendo la nostra civiltà. E’ il momento di concentrarsi su pace e sviluppo, non sulla competizione ad essere il più grande magnate del petrolio del pianeta.
Testo originale: Neo/What’s Really Going on With Oil ?
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